A proposito dell'ecobox di via Marchetti 22 (e alcune note sulla lotta del parco Don Bosco)
Fuori dal liceo artistico Arcangeli, a Bologna, c’è un container. Il container si trova tra la recinzione della scuola e la strada, su un’aiuola rialzata che collega il marciapiede e l’ingresso dell’edificio. È stato installato durante il covid per servire da aula scolastica, ma pare non sia stato usato molto. Alcuni aspetti critici legati al suo funzionamento (la facilità nell’accesso da parte di esternx, o il fatto che lx studentx dovessero venire scortatx dal personale scolastico per l’utilizzo dei bagni all’interno della scuola) ne hanno segnato la prematura inutilità. Ciononostante, il container ha continuato a rimanere al suo posto. Poi, anche il covid e lo stato di emergenza sono passati: ma il container è rimasto lì.
Il container ha un nome, un nome formato da una parola composta e un numero. Si chiama ecobox 05. È un volume di circa 15x5x3m. Calza a pennello nello spiazzo che lo ospita, ma mantiene comunque un aspetto piuttosto ottuso, alieno, come di oggetto calato dall’alto o scaricato lì da un vascello alla deriva. Mentre stona con la vegetazione circostante e le ricche villette del circondario, riesce ancora a nascondersi sotto le fronde degli alberi vicini, e a confondersi nell’eco dell’architettura scolastica e di alcuni container più grandi appena dietro di lui, dentro il perimetro della scuola e ancora in uso.
Una cicatrice, due liberazioni
Una mattina di metà dicembre 2024 ecobox 05 è stato riaperto dallx stessx studentx della scuola per cui avrebbe dovuto fungere da aula. D’un tratto è diventato ciò che non era mai stato: un luogo aperto, vivo, liberamente attraversabile. È diventato anche quello che lx studentx non avevano, che chiedevano da mesi e che sistematicamente veniva loro negato: un luogo di autogestione, di incontro e di scambio, di espressione e di arricchimento reciproco. Nelle adiacenze del liceo Arcangeli si è così messa in moto una classica dinamica di riappropriazione, recupero e riuso di uno spazio abbandonato. Eppure la situazione è in qualche modo più complessa. Uno spazio pubblico impropriamente occupato da un container e al contempo un container impropriamente posizionato in uno spazio pubblico trovano entrambi, all’improvviso, una nuova vita. Una doppia liberazione.
Voci di corridoio riportano come poco prima della sua riapertura, a seguito di un’esplicita richiesta dellx studentx di poter utilizzare ecobox per le loro attività, la dirigenza scolastica si fosse premurata di rendere l’ex aula inutilizzabile, provvedendo in breve tempo a sabotarne la fornitura elettrica e il condizionatore. Nulla di che stupirsi, forse: gli spazi, anche solo potenziali, di autogestione e libero incontro e scambio sono naturalmente invisi all’autorità. Nondimeno, c’è qualcosa che colpisce nella facilità con cui un’amministrazione scolastica danneggia di proposito un suo bene (quantunque — o per giunta — in affitto), e nell’ostinata decisione con cui un gruppo di studentx coltiva invece il proposito di mantenere quel luogo, e di farne uno spazio che risponda a una necessità.
Ecobox 05 sarebbe allora una scoria, o una macchia, o una cicatrice: la scoria di un tempo passato; una macchia (molto geometrica) in una strada di Bologna; la cicatrice di un evento doloroso nella vita di moltx, o tuttx. Così, nelle varie forme dell’interazione con la sua presenza muta, emergono modi diversi di relazionarsi con la ferita e il (non-ancora, non del tutto) rimosso.
Di operai richiamati dalle ferie e altri sabotaggi
La presa di ecobox da parte dellx studentx, passata quasi del tutto — ma non per caso — in sordina a livello mediatico e politico, è stata invece attentamente seguita, oltre che dalla presidenza dell’istituto, anche dagli uffici comunali e dalle autorità, digos e questura in primis. Al punto che, in uno dei pochi momenti in cui lo spazio è rimasto non presidiato durante le vacanze natalizie, alcuni operai della ditta proprietaria del container — precipitosamente richiamati dalle ferie — hanno ricevuto l’ordine di recarsi presso ecobox per cominciare a smantellarlo anzitempo.
Questa fretta indica due cose. Da una parte, l’urgenza sentita da amministrazione e autorità nell’eradicare da un container inutilizzato e installato sullo spazio pubblico chiunque abbia l’ardire di provare a reimmaginarne usi e funzioni — anzichè, come sarebbe stato possibile nei mesi precedenti, nel liberare quello stesso spazio e rimetterlo a disposizione della cittadinanza. Dall’altra, la fobia provata ancora da amministrazione e autorità verso una simile manifestazione di autodeterminazione e organizzazione dal basso, agita per giunta in maniera del tutto spontanea dallx studentx della scuola in cerca di risposte alle proprie esigenze.
Ebbene, questo raffazzonato tentativo di rimozione di ecobox non è poi andato a buon fine. Non appena appresa la notizia dello smontaggio in atto del container, varix studentx si sono infatti precipitatx da ecobox per cercare di impedirne la rimozione. Il passaparola riferisce come ci siano riuscitx senza nemmeno troppi sforzi, guadagnandosi anzi in breve tempo anche la solidarietà degli operai, probabilmente ignari di essere stati mandati lì a distruggere quella che era ormai a tutti gli effetti un’aula discretamente frequentata.
Il bilancio della visita a sorpresa — certamente coadiuvata da agenti ulteriori rispetto ai semplici operai — ha però comunque riportato la sparizione della cassa autogestita degli studenti, di un cineproiettore e di una neoformata libreria; il sabotaggio di illuminazione, cucina e stufa da campo, recuperate per poter far fronte al buio, alla fame e al freddo invernali; il parziale smontaggio del tetto, privato dello strato superiore di copertura e coibentanzione. Eppure — ça va sans dire — nemmeno questo è bastato a demotivare lx studentx, e farli desistere dai loro intenti. Una seconda, successiva visita degli operai si è così di nuovo risolta in un nulla di fatto, sotto gli sguardi afflitti di alcunx agenti della digos e davanti all’effettiva impossibilità di smontare un container che, semplicemente, conteneva delle persone.
Trave(r)sie, strategie, ri(fiu)ti
Bologna è una città particolare. Nonostante quanto se ne tramanda nella vulgata popolare, i suoi amministratori non hanno un buon rapporto con la protesta e la contestazione. Il capoluogo emiliano vanta un primato, tra le grandi città italiane, per quanto riguarda l’assenza di spazi sociali autogestiti 1. Ma è anche la città che nell’ultimo anno ha dato vita a una delle più forti ed efficaci lotte ambientali cittadine a livello nazionale, ovvero quella relativa alla difesa del parco Don Bosco contro un progetto di disboscamento e cementificazione dell’area da parte del Comune. Ed è proprio nelle affinità con questa lotta che la presa di ecobox esprime ulteriori elementi di interesse. In entrambi i casi c’è di mezzo — o più precisamente di lato — una scuola (nel caso del parco Don Bosco le scuole Besta, di cui era previsto l’abbattimento). In entrambi i casi l’oggetto della contesa non è uno stabile ma un luogo di passaggio (il parco, lo spiazzo), con una funzione principalmente, ma non solo, connettiva. Tra l’edificio e la strada, diciamo, e comunque nello spazio pubblico. Entrambi i luoghi non esprimono particolari caratteri di bellezza o attrattività. Entrambi si trovano in una situazione transitoria, più precisamente entrambi sono (o erano) esposti alla possibile imminenza della loro fine, alla loro già decretata sparizione, o rimozione.
Così, posizionarsi in un luogo del genere, e mantenere la posizione, significa porsi di traverso. Non manifestare per forza un proposito astratto o un’esplicita rivendicazione politica, ma incastrarsi in un luogo di cui si desidera la permanenza. Difendere quel luogo proprio perchè esso è importante così com’è, e spostare dunque l’attenzione sui gesti e sui significati implicati in questa difesa: il gesto sprezzante di chi ritiene di poter disporre dello spazio pubblico a suo completo piacimento, facendovi per esempio comparire o scomparire con un colpo di spugna grigi parallelepipedi di lamiera o interi edifici di cemento; il significato fondamentale che anche e proprio un luogo di passaggio può assumere per chi vive e attraversa quotidianamente quel luogo, nella continua ascesa e discesa tra il marciapiede e la scuola, o nelle passeggiate con i cani; il gesto di attenzione di chi per primx si mette in gioco contro una decisione imposta e irrispettosa della comunità e decide di dedicarsi al benessere di uno spazio, al suo essere bene comune; il significato di tenere (a) un luogo.
Mettersi di traverso, o in gioco, in uno spazio pubblico pone dunque la questione proprio sul piano pubblico, e porta con sè una componente di visibilità non indifferente. Interessarsi delle condizioni di esistenza di un luogo specifico, inoltre, fa sì che l’inceppo generato nel mettersi di traverso determini nel suo innescarsi un riferimento estremamente chiaro per la mobilitazione — il quale può finire per fondersi a sua volta con le condizioni di esistenza della mobilitazione stessa. Essere confrontati a una situazione terminale, opporre un rifiuto alla già programmata rimozione o distruzione di un luogo caro, stabilisce infine anch’esso un obiettivo estremamente chiaro.
Tute sgombrate, nulla avanzate
Anche, ma non solo questi elementi sono stati tra quelli che hanno permesso alla mobilitazione in difesa del parco don Bosco di assumere un discreto vantaggio nei confronti dell’amministrazione comunale (ovvero la committente dei lavori) e portare, sul medio periodo e dopo una lunga serie di vicissitudini, all’effettiva sopravvivenza del parco. Il semplice presidio di un luogo minacciato di sparizione, laddove animato da persone interessate alla sua sorte, può, nel migliore dei casi, rendere impossibile alla forza lavoro incaricata la messa in atto delle operazioni di distruzione. Questo conduce presto a uno stallo piuttosto palese, e a un conseguente aut aut. In questo caso: o la permanenza dellx studentx, o la rimozione di ecobox.
Ora, un’amministrazione comunale degna di questo nome agirebbe forse per tentare di sciogliere l’intrico. Ma, come si diceva, la giunta bolognese pare ormai disabituata a questo tipo di operazioni: più che la capacità, sembrano essere venute meno proprio la volontà e la disposizione verso il dialogo con lx cittadinx, in favore di una comoda e semplicistica retrocessione di qualsiasi situazione sgradita a generico problema di ordine pubblico… nel merito del quale è dunque d’uopo che ad agire sia la forza pubblica. Così, anche sullx studentx del liceo Arcangeli e sul destino di ecobox finisce per incombere il rischio di un intervento poliziesco.
Esiste un vecchio — forse non così vecchio — slogan del movimento bolognese che chiama all’azione “contro il nulla che avanza”. Sciogliere l’ambiguità dell’espressione ci porta in questo caso a considerare però che forse, oggi, “nulla avanza”. Molto, moltissimo non è necessario, ma al contempo tutto è importante, nulla avanza. Anche un container in un luogo di passaggio — già aula scolastica, già reietto urbano — reclama tutta l’attenzione che è possibile dargli. E che può portarlo ad essere il contenitore, appunto, delle visioni, delle espressioni, dei rifiuti di chi a 15 anni o 20 anni decide di resistere all’idea che una scuola, o una parte di essa, possa essere qualcosa che indiscriminatamente va e viene, che un’aula possa essere un edificio usa e getta, che il ciclo di vita di un luogo di formazione e apprendimento duri dai quattro ai quarant’anni. O ancora, in questa strana congiuntura, che uno spazio pubblico cui si tiene possa venire requisito — e non più reso — da un momento all’altro, debba piegarsi e rassegnarsi alla presenza di un volume estraneo dalla notte al giorno, divenga pieno, indifeso ostaggio di una struttura aliena nella più completa indifferenza di chi dello spazio pubblico, e di chi lo frequenta, dovrebbe avere cura.
All’esterno di ecobox, un’ironica scritta rivendica: “siamo tute illlitterate”. E fa eco al titolo di una fanzine al suo interno: prendi quello che ti serve, di tutto il resto fanne compost.
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Il primato, o comunque lo sfoggio, non si ferma qui, se è vero che il numero di sgomberi coatti di spazi sociali avvenuti in città tra il 2022 e il 2023 si attesta a dir poco intorno alla quindicina: una storia ancora tutta da scrivere. ↩︎